La pensione d’inabilità, ai sensi dell’articolo 2 della legge del 2 giugno 1984 n. 222, è una prestazione economica che spetta al lavoratore al quale viene accertata, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, l’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa.
È erogata a favore dei lavoratori autonomi, subordinati e iscritti alla gestione separata a decorrere dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda.
In caso di diniego è possibile ricorrere entro 90 giorni dalla comunicazione.
La valutazione dell’impossibilità assoluta e permanente di svolgimento di qualsiasi attività lavorativa è effettuata da una Commissione medico-legale dell’INPS, che procede a verificare se residuino energie psicofisiche utili allo svolgimento di attività lavorativa proficua.
Dunque, il lavoratore non sarà considerato inabile se
a) è possibile una variazione di mansioni non dequalificante e non usurante e
b) l’attività lavorativa sia tale da consentire una vita dignitosa.
Quest’ultimo requisito è stato introdotto dalla giurisprudenza, valorizzando la funzione dell’articolo 36, comma primo della Costituzione, che prevede il diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato e, in ogni caso, sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.
Nella sentenza del 7 febbraio 2018, n. 2975, la Corte di cassazione, ha sconfessato ancora una volta l’interpretazione restrittiva dell’INPS, secondo la quale sarebbero ammessi alla pensione d’invalidità solo i soggetti assolutamente impossibilitati ad espletare qualsiasi attività lavorativa, anche non proficua.
Nel caso di specie, infatti, l’INPS sosteneva che non si profilasse il diritto a ricevere la pensione per l’assicurato – già conduttore di macchine operatrici – affetto da linfoma non hodgkin a localizzazione dorso-lombare con prognosi infausta e da grave cardiopatia.
La Corte di legittimità ha riconosciuto, invece, la bontà del ragionamento della Corte d’Appello di Cagliari che aveva dichiarato il diritto alla pensione d’invalidità del lavoratore.
L’orientamento consolidato della Corte di Cassazione è l’unica lettura possibile nel rispetto del diritto del lavoratore inabile a ricevere i mezzi adeguati alle sue esigenze di vita previsto dall’art. 38 della Costituzione e offre alle persone affette da gravi patologie almeno la consolazione della tutela di tale diritto.
Chi può agire in giudizio: lavoratori autonomi, subordinati e iscritti alla gestione separata ai quali sia negato, pur in presenza di assoluta e permanente impossibilità di svolgere attività lavorativa, il diritto alla pensione. Il diritto a proporre ricorso, dinanzi al Comitato Provinciale, è soggetto al termine di decadenza di 90 giorni dalla comunicazione del diniego.
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Articolo a cura dell’Avv. Maria Saia
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